giovedì 23 agosto 2012

133 - I due gemelli (leggere un testo letterario)

I DUE GEMELLI (adattato da Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondadori)

Quando i due gemelli erano ancora piccoli e Michela ne combinava una delle sue, come lanciarsi con il girello dalle scale oppure incastrarsi un pisello su per una narice, che poi bisognava portarla al pronto soccorso per farglielo estrarre con delle pinze speciali, loro padre si rivolgeva sempre a Mattia, il primo ad aver visto la luce, e gli diceva:
«Chissà che avete combinato dentro quella pancia! Mi sa che a forza di dare calci a tua sorella le hai procurato qualche danno serio».
Poi rideva, anche se non c’era niente da ridere. Sollevava Michela per aria e le affondava la barba tra le guance morbide.
Mattia guardava da sotto. Rideva pure lui, ma non capiva veramente le parole del papà.
La risata di papà si trasformò in un sorriso tirato quando, a ventisette mesi, Michela non diceva ancora una parola che fosse una. Nemmeno “mamma” o “cacca” o “nanna” o “bau”. I suoi gridolini disarticolati giungevano da un posto così solitario e deserto che papà rabbrividiva ogni volta.
A cinque anni e mezzo una logopedista con gli occhiali spessi mise di fronte a Michela un parallelepipedo di compensato con le incisioni di quattro forme diverse – una stella, un cerchio, un quadrato e un triangolo – e le corrispondenti formine colorate da incastrare nei buchi.
Michela la osservava meravigliata.
«Dove va la stella, Michela?» chiese la logopedista.
Michela abbassò lo sguardo sul gioco e non toccò nulla. La dottoressa le mise in mano la stella.
«Dove va questa, Michela?» domandò.
Michela guardava ovunque e da nessuna parte. Si infilò una delle cinque punte gialle in bocca e prese a morsicarla. La logopedista le tolse la mano dalla bocca e ripeté la domanda per la terza volta.
«Michela, fai come ti dice la dottoressa, accidenti» ringhiò suo padre, che non ci riusciva proprio, a stare seduto dove gli avevano detto.
«Signor Balossino, la prego» disse la dottoressa. «Ai bambini bisogna concedere il loro tempo.»
Michela si prese il suo tempo. Un minuto intero. Poi emise un gemito straziante, che poteva essere tanto di gioia quanto di disperazione, e con sicurezza incastrò la stella nel posto del quadrato.

Nel caso Mattia non l’avesse già capito da solo che sua sorella aveva qualcosa di storto, ci pensarono i suoi compagni di classe a farglielo presente, ad esempio Simona Volterra, che quando in prima la maestra le disse: «Simona, questo mese sarai vicina di banco di Michela», si ribellò incrociando le braccia e disse: «Io vicino a quella là non ci voglio stare».
Mattia aveva lasciato che Simona e la maestra litigassero per un po’ e poi aveva detto: «Maestra, posso restare io vicino a Michela». Tutti quanti erano apparsi sollevati: quella là, Simona, la maestra. Tutti quanti, a parte Mattia.
I due gemelli stavano al primo banco. Michela colorava per tutto il giorno disegni già stampati, andando invariabilmente fuori dai contorni e assegnando i colori a caso. La pelle dei bambini blu, il cielo rosso, gli alberi tutti gialli. Impugnava la matita come un batticarne e calcava sul foglio tanto da strapparlo una volta su tre.
Di fianco a lei Mattia imparava a leggere e scrivere. Imparava le quattro operazioni aritmetiche e fu il primo della classe a saper fare le divisioni con il riporto. La sua testa pareva un ingranaggio perfetto, nello stesso modo misterioso in cui quella di sua sorella era così difettosa.
A volte Michela prendeva a dimenarsi sulla sedia e a sbattere le braccia con forza, come una farfalla in trappola. Gli occhi le si facevano bui e la maestra restava a guardarla, più impaurita di lei. Qualcuno nelle file dietro ridacchiava e qualcun altro gli faceva «Shhh».
Allora Mattia si alzava in piedi, sollevando la sedia per non farla stridere sul pavimento e andava dietro a Michela, che ruotava la testa da una parte e dall’altra e ormai sbatteva le braccia talmente veloce che lui aveva paura che si staccassero.
Mattia le prendeva le mani e delicatamente le chiudeva le braccia intorno al petto.
«Ecco, non hai più le ali» le diceva in un orecchio.
Michela ci metteva ancora qualche secondo prima di smettere di tremare. Restava fissa su qualcosa di inesistente, per alcuni secondi, e poi tornava a torturare i suoi disegni come se nulla fosse. Mattia si sedeva di nuovo al suo posto, la testa bassa e le orecchie rosse di imbarazzo e la maestra andava avanti con la spiegazione.

ESERCIZIO 1:
1- Quali sono i personaggi del racconto?
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2- Chi è il signor Balossino?
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3- Chi è Simona Volterra?
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4- Chi sono Mattia e Michela?
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5- Quale dei due è nato per primo?
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6- Che cosa faceva Michela quando era ancora piccola?
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7- Perché, quando i due gemelli hanno ventisette mesi, il papà è preoccupato?
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8- Che cosa deve fare Michela dalla logopedista?
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9- Ci riesce?
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10- In quale posto erano seduti i gemelli a scuola?
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11- Che cosa fa Michela a scuola tutto il tempo?
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12- Lo fa in modo corretto?
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13- Mattia è bravo a scuola?
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14- Quando la maestra ha paura di ciò che fa Michela?
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15- Quando Michela sbatte le braccia, che cosa crede di avere al posto delle braccia?
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16- Chi è Michela?
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SCHEDA GRAMMATICALE:
PAROLE DERIVATE:
Molte parole della lingua italiana derivano da parole più semplici e indicano qualcosa che ha un rapporto di significato con la parola semplice da cui derivano.
Per esempio, dalla parola CANE deriva la parola CANILE, che è il posto dove vengono custoditi i cani randagi, cioè senza una famiglia che li tiene con sé.
cane
  canile



Altro esempio: dalla parola DENTE deriva la parola DENTISTA, cioè il medico che cura i denti, o la parola DENTIERA, cioè i denti finti per chi ha perso i propri denti veri, o la parola DENTIFRICIO, cioè la pasta per lavarsi i denti.
dente
dentista
dentiera
dentifricio


Terzo esempio: dalla parola GATTO deriva la parola GATTINO, cioè un gatto nato da poco, o la parola GATTAIOLA, che è una piccola apertura in una porta fatta perché il gatto esca o entri da una stanza, o il verbo GATTONARE, che significa camminare con gambe e braccia e si usa per i bambini piccoli.
gatto
gattino
 gattaiola
gattonare


Capire il discorso delle parole derivate, permette all’alunno straniero di capire più facilmente molte parole della lingua italiana.

ESERCIZIO 2:
Nel brano che hai letto ci sono alcune parole derivate; prova a capire da quale parola più semplice sono derivate queste parole:
gridolini = _______________________________________________________________
rabbrividiva = ____________________________________________________________
formine = ________________________________________________________________
colorate = _______________________________________________________________
morsicarla, cioè morsicare quella cosa = _________________________________________
incrociando, cioè nel racconto “incrociare le braccia” = ______________________________
impugnava = ______________________________________________________________
ruotava = ________________________________________________________________


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