lunedì 6 agosto 2012

106 - Leggere: l'ambientazione (il luogo)

L’AMBIENTAZIONE: IL LUOGO

L’altro aspetto dell’ambientazione è il luogo in cui si svolge una storia: in una storia molto lunga di solito i luoghi sono più di uno, a volte moltissimi.

Osserviamo alcune immagini tratte da film:
1
Qui siamo in una cucina di una vecchia casa.
2
Qui in un posto tra le colline dove c’è un castello medievale.
3
Qui in uno stadio dove si sta giocando una partita di rugby.
4
Qui siamo in un villaggio del Vietnam, durante un bombardamento
5
Qui in una città di fantasia (del futuro) con le automobili volanti.
6
Qui siamo in Cina, a Pechino, davanti al Palazzo Imperiale.
 
7
Qui siamo in una villa di ricchi americani.
8
Qui siamo in una grande lavanderia industriale.

Un storia può essere ambientata in qualunque tipo di luogo: vero o di fantasia.

In testi molto brevi (come le favole) il luogo può anche non essere descritto.

I BUOI E L’ASSE DELLE RUOTE (di Esopo, Mondadori)

Dei buoi tiravano un carro. Siccome l’asse delle ruote strideva, si voltarono verso di lui e gli dissero: «Ehi, amico, noi portiamo tutto il peso e tu ti lamenti?».
Così anche tra gli uomini qualcuno si dà l’aria di essere stanco mentre sono gli altri che si affannano.

AIUTO:
tiravano = imperfetto del verbo TIRARE
strideva = imperfetto del verbo STRIDERE
si voltarono = passato remoto del verbo VOLTARSI
dissero = passato remoto del verbo DIRE


Oppure il luogo può essere solo accennato.

LE RANE NELLO STAGNO (di Esopo, Mondadori)

Due rane vivevano in uno stagno. Quando il calore dell’estate lo prosciugò, lo lasciarono per andare a cercarne un altro. A un tratto s’imbatterono in un pozzo profondo. «Scendiamo insieme in questo pozzo, amica mia» propose una all’altra, appena lo vide. Ma la sua compagna replicò: «E se anche quest’acqua si prosciugasse, come faremo a risalire?».
La favola dimostra che non bisogna mettere mano alle cose senza riflettere.

AIUTO:
vivevano = imperfetto del verbo VIVERE
prosciugò = passato remoto del verbo PROSCIUGARE
lasciarono = passato remoto del verbo LASCIARE
s’imbatterono = passato remoto del verbo IMBATTERSI
propose = passato remoto del verbo PROPORRE
vide = passato remoto del verbo VEDERE
faremo = futuro del verbo FARE


Ma nei racconti e nei romanzi la storia ha sempre bisogno di un luogo preciso, che a volte può essere descritto con molti dettagli.
Leggi i 2 esempi (il primo è un racconto intero, il secondo solo l’inizio di un romanzo).

1- IL PICCIONE COMUNALE (di Italo Calvino, Einaudi)

Gli itinerari che gli uccelli seguono migrando, verso sud o verso nord, d'autunno o a primavera, traversano di rado la città. Gli stormi tagliano il cielo alti sopra le striate groppe dei campi e lungo il margine dei boschi, ed ora sembrano seguire la ricurva linea di un fiume o il solco d'una valle, ora le vie invisibili del vento. Ma girano al largo, appena le catene di tetti d'una città gli si parano davanti.
Pure, una volta, un volo di beccacce autunnali apparve nella fetta di cielo d'una via. E se ne accorse solo Marcovaldo, che camminava sempre a naso in aria. Era su un triciclo a furgoncino, e vedendo gli uccelli pedalò più forte, come andasse al loro inseguimento, preso da una fantasticheria di cacciatore, sebbene non avesse mai imbracciato altro fucile che quello del soldato.
E così andando, cogli occhi agli uccelli che volavano, si trovò in mezzo a un crocevia, col semaforo rosso, tra le macchine, e fu a un pelo dall'essere investito. Mentre un vigile con la faccia paonazza gli prendeva nome e indirizzo sul taccuino, Marcovaldo cercò ancora con lo sguardo quelle ali nel cielo, ma erano scomparse.

In ditta, la multa gli suscitò aspri rimproveri.
– Manco i semafori capisci? – gli gridò il caporeparto signor Viligelmo. – Ma che cosa guardavi, testavuota?
– Uno stormo di beccacce, guardavo... – disse lui.
– Cosa? – e al signor Viligelmo, che era un vecchio cacciatore, scintillarono gli occhi. E Marcovaldo raccontò.
– Sabato prendo cane e fucile! – disse il caporeparto, tutto arzillo, dimentico ormai della sfuriata. – È cominciato il passo, su in collina. Quello era certo uno stormo spaventato dai cacciatori lassù, che ha piegato sulla città...
Per tutto quel giorno il cervello di Marcovaldo macinò, macinò come un mulino. «Se sabato, com'è probabile, ci sarà pieno di cacciatori in collina, chissà quante beccacce caleranno in città; e se io ci so fare, domenica mangerò beccaccia arrosto».
Il casamento dove abitava Marcovaldo aveva il tetto fatto a terrazzo, coi fili di ferro per stendere la roba ad asciugare. Marcovaldo ci salì con tre dei suoi figli, con un bidone di vischio, un pennello e un sacco di granone. Mentre i bambini spargevano chicchi di granone dappertutto, lui spennellava di vischio i parapetti, i fili di ferro, le cornici dei comignoli. Ce ne mise tanto che per poco Filippetto, giocando, non ci restò lui appiccicato.
Quella notte Marcovaldo sognò il tetto cosparso di beccacce invischiate sussultanti. Sua moglie Domitilla, più vorace e pigra, sognò anatre già arrosto posate sui comignoli. La figlia Isolina, romantica, sognava colibrì da adornarsene il cappello. Michelino sognò di trovarci una cicogna.
Il giorno dopo, a ogni ora, uno dei bambini andava d'ispezione sul tetto: faceva appena capolino dal lucernario, perché, nel caso stessero per posarsi, non si spaventassero, poi tornava giù a dare le notizie. Le notizie non erano mai buone. Finché, verso mezzogiorno, Pietruccio tornò gridando:
– Ci sono! Papà! Vieni!
Marcovaldo andò su con un sacco. Impegolato nel vischio c'era un povero piccione, uno di quei grigi colombi cittadini, abituati alla folla e al frastuono delle piazze. Svolazzando intorno, altri piccioni lo contemplavano tristemente, mentre cercava di spiccicare le ali dalla poltiglia su cui s'era malaccortamente posato.

La famiglia di Marcovaldo stava spolpando le ossicine di quel magro e tiglioso piccione fatto arrosto, quando sentirono bussare.
Era la cameriera della padrona di casa: – La signora la vuole! Venga subito!
Molto preoccupato, perché era indietro di sei mesi con la pigione e temeva lo sfratto, Marcovaldo andò all'appartamento della signora, al piano nobile. Appena entrato nel salotto vide che c'era già un visitatore: la guardia dalla faccia paonazza.
– Venga avanti, Marcovaldo, – disse la signora. –Mi avvertono che sul nostro terrazzo c'è qualcuno che dà la caccia ai colombi del Comune. Ne sa niente, lei?
Marcovaldo si sentì gelare.
– Signora! Signora! – gridò in quel momento una voce di donna.
– Che c'è, Guendalina?
Entrò la lavandaia. – Sono andata a stendere in terrazzo, e m'è rimasta tutta la biancheria appiccicata. Ho tirato per staccarla, ma si strappa! Tutta roba rovinata! Cosa mai sarà?
Marcovaldo si passava una mano sullo stomaco come se non riuscisse a digerire.

AIUTO PER IMMAGINI:
Gli stormi tagliano il cielo alti…
Un volo di beccacce autunnali…
Era su un triciclo a furgoncino

Si trovò in mezzo a un crocevia, col semaforo rosso…
Mentre un vigile gli prendeva nome e indirizzo sul taccuino…
Sabato prendo cane e fucile…
Domenica mangerò beccaccia arrosto.
Aveva il tetto fatto a terrazzo
Impegolato nel vischio c’era un povero piccione…
Entrò la lavandaia…


2- IVANHOE (di Walter Scott, traduzione di Laura Pugno, La Biblioteca di Repubblica)

In quel dolce distretto della bella Inghilterra che è bagnato dal fiume Don, si stendeva nei tempi antichi un’ampia foresta che ricopriva la maggior parte delle miti colline e delle vallate che si trovano tra Sheffield e la ridente città di Doncaster. […] Il sole stava tramontando su uno degli spiazzi fittamente coperti d’erba che si aprivano in quella foresta […]. Centinaia di querce dall’ampia chioma, dal tronco breve e dalle vaste ramificazioni, che forse avevano ammirato la solenne marcia dei soldati romani, stendevano i loro lunghi e nodosi rami su un delizioso tappeto d’erba verde. Qui e lì alle querce si mischiavano faggi, agrifoglie e altre piante del bosco ceduo, in un intrico tanto fitto da intercettare i raggi cadenti del sole al tramonto; in altri punti gli alberi si distanziavano gli uni dagli altri, dando luogo a quegli scorci profondi e spaziosi nel cui intreccio l’occhio ama perdersi, mentre l’immaginazione vi legge i sentieri verso scene ancora più selvagge di solitudine boschiva. Qui i raggi infuocati del sole proiettavano una luce fratta e debole, che in parte si rifletteva sui rami contorti e sui tronchi muschiosi degli alberi, coprendo di chiazze luminose quelle porzioni d’erba che riusciva a colpire.

AIUTO PER IMMAGINI:
… si trovano tra Sheffield e la ridente città di Doncaster…
… un’ampia foresta…
Centinaia di querce dall’ampia chioma...
.. sui tronchi muschiosi degli alberi…


ESERCIZIO:
Leggi il brano e poi rispondi alle domande. [Il brano è un po’ difficile; comunque l’esercizio può servire all’insegnante, per valutare le capacità dell’alunno straniero]

IL MULINO SULLA FLOSS (di George Eliot, La Biblioteca di Repubblica)

Una vasta pianura dove la Floss, allargandosi, si affretta verso il mare tra le rive verdeggianti, e l’affettuosa marea, correndole veloce incontro, le frena il passaggio con un abbraccio impetuoso. Sospinti da questa marea possente, i neri bastimenti, carichi di tavole d’abete dall’odore fresco, di sacchi rigonfi di semi oleosi, o dello scuro luccicare del carbone, risalgono verso la cittadina di St. Ogg’s che mostra i suoi vecchi tetti rossi scanalati e i larghi abbaini delle banchine tra una bassa collina boscosa e la sponda del fiume, tingendo l’acqua di un tenue porpora sotto il bagliore effimero di questo sole di febbraio. Da entrambe le parti si stendono ricchi pascoli e campi di terra scura, pronti a ricevere la semina che darà nuovi raccolti dalle larghe foglie verdi, oppure già con tocchi colorati delle foglie tenere del grano seminato in autunno. Qua e là, oltre le siepi, restano ancora dall’anno passato gruppi di biche dorate che paiono alveari; e ovunque le siepi sono ornate di alberi: i bastimenti lontani sembrano levare l’albero maestro e dispiegare le vele rosso cupo tra i rami del frondoso frassino. […]
E questo è il mulino di Dorlcote. Devo fermarmi qualche minuto qui sul ponte a guardarlo, benché le nubi siano minacciose e il pomeriggio inoltrato. […] L’irruenza dell’acqua e il rimbombo del mulino infondono uno stato di sognante stordimento che pare accrescere la quiete della scena. […]
Ora posso volgere nuovamente gli occhi al mulino e guardare l’infaticabile ruota che sprizza scintillanti zampilli d’acqua. Anche quella bambina la osserva: è rimasta immobile nello stesso punto, sulla riva del torrente, da quando mi sono fermata sul ponte. E quel bizzarro cagnetto bianco dall’orecchio marrone, con i suoi salti e i suoi abbai sembra avercela vanamente con la ruota; forse ne è geloso, perché la sua compagna di giochi col berretto di castoro è tanto affascinata dal suo movimento.

DOMANDE:
1- Il brano è ambientato in
     ð pianura
     ð collina
     ð montagna
2- La Floss che si allarga nella pianura  è
     ð una campagna
     ð una strada
     ð un fiume
3- Il racconto è ambientato vicino al mare o lontano dal mare?
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4- Cosa sono i neri bastimenti?
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5- Che cosa trasportano?
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6- Quale città viene nominata nel brano?
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7- Il nome di questa città ti può suggerire il nome dello Stato in cui si svolge la storia: qual è questo Stato, secondo te?
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8- Di che colore sono i tetti di questa città?
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9- In quale mese è ambientato il brano?
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10- Nel brano si parla di “ricchi pascoli” e di “campi di terra”. Nelle 2 immagini quali sono i pascoli e quali i campi?
 

11- A un certo punto si parla di un mulino: disegnane uno.













12- In quale momento della giornata è ambientato il racconto?
     ð mattina
     ð pomeriggio
     ð notte
13- Chi, oltre alla persona che racconta, osserva il mulino?
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14- Dove si trova?
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15- Che cosa ha in testa?
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16- Chi c’è con lei?
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